SARNARI SI’. “Addizioni e Sottrazioni” di Franco Sarnari
Come il giovane Werther, sentire sulla spalla la carezzevole mano di Lotte, ma senza tocco, senza il peso disarmonico e squilibrante della presenza fisica d’amore, mentre i “mor-moni” di città, sempre apparentemente più-buoni, annaspano e annegano nel non giudizio accettativo, finalmente, con la forza auto-lesionista temperata dal disagio d’essere individuati e additati come quel peggio che ci si possa attendere dall’uomo d’arte chiacchierone, lamentoso, invalidante, titubante nei confronti dell’alterità.
E, stessa forza, stemperata, nel colore e nel non colore, da un Sarnari, artista eccelso e poco ciarlante, che alla supremazia dialogica del giudicante astrattismo implodente e periferico, sempre serpeggiante come l’essere serpe impone – ma questo solo quando il coraggio maschio glielo consente – contrappone il mutismo di un graffio su figure di rinascita, una geometria di matita sotto volti abbozzati, una schiuma di poppa dalla prua di una nave nera come il petrolio; e lo sbaffo spirituale di un cielo notturno pieno di stelle unite tra di loro da fili fantastici di geometrie divine. Cielo nero come l’assenza dell’Essere. Cielo nero come la vita non vissuta. Cielo nero come la morte dentro che sublima e surroga la vita di ogni artista senza paure. Perché l’ideale creativo si rivolge a ciò che già esiste, mentre l’espressione creativa si rivolge all’inaspettato.
Il collega pubblicitario mi guarda Franco e col fiore di mimosa tra i denti, sorride di questo e di quelli, osservando, silenzioso, il tutto che è uno, disgiungendolo e assemblandolo con l’uno che è tutto; e dal suo occhio graffiato, smozzicato e sottratto all’anatomia pittorica, attraverso il disegno di segni che sottendono il gesto cromatico sbavato, amato per poco e poi lasciato andare. Puntellature "tippingologiche", tipiche di un pennello strausato e smozzicato dall’energia della ricerca, e non per caso divenuto strumento accessorio delle mani, causando, sottolineando il bel vedere fisico che ha attraversato il suo occhio attento alle pieghe più intime dei corpi di uomo, di donna – ché corporeità è assoluta e nemica di forme libidiche – come a quelle pieghe della vita, senza timore di interferire con l’animo umano barocco e apologetico che nega sposalizio tra sesso e virulenza cromatica quale sottesa intercapedine, fallo, di un viaggio percorso nel proprio interiore che è centratura del vedere. Uno spirito spettatore, connesso col mondo che attende, attendista e petulante, che l’artista giudichi il mondo in cui quel mondo pensa di vivere senza accorgersi di morire senza respiro, senza fiato d’ossigeno colorato in spettro, in quel grigio-perla straziante e delicato che l’artista ripone per lui sulla tela. Per lasciarlo guardare. Senza ragione. Senza voluto dispiego di fisicità, puntando il proprio sentire verso il cosmico, verso l’illuminato, verso il trasparente, verso il sereno volto della felicità che ti lascia desiderare solo di guardare mentre culi, seni, ascelle, clavicole, ombelichi, gomiti e nocche di mani che trasfigurano delicati volti, forse teschi, incontrano l’occhio di chi guarda, lo accolgono, lo respingono, lo spostano perifericamente senza proferire parola. Nel silenzio che è dei saggi, nel “No” che è conquista, nel coraggio che è precipizio dell’idea che liquefa sanguigna nel cuore per mutarsi in amore, senza ragione, senza spiegazioni. Senza il sì che è solo suo, del pittore, romanziere, scultore, poeta della pelle e del suono del silenzio.
Tutto questo lo potrete vedere o non vedere, e vedendolo cambiarlo secondo il vostro sentire, al Convento del Carmine – Pinacoteca Comunale di Marsala – Piazza del Carmine. Fino al giorno del non giudizio. Informatevi! Agite! Amatevi! Dedicato ai giovani di una città ciarlante che confonde gioia con noia.
Mostra a cura di Sergio Troisi.
Sal Giampino
25 Giugno 2015