Corpo in stasi e corpo in movimento nel tempo e nello spazio - La fotografia di Eugenio Sinatra tra passato e presente
Protagonista del lavoro di moltissimi fotografi, sin dai primi massimi rappresentanti della fotografia della metà XIX secolo, fino ad arrivare ai rappresentativi del XX secolo, è la donna, ispiratrice, musa ma è soprattutto il suo corpo a destare interesse. E’ nel 900 che si delinea un nuovo modo di vivere e di intendere il corpo femminile, caratterizzato dalla sua specifica identità in ambito sociale, culturale ed estetico. Il corpo acquista tutta la sua libertà di espressione, il corpo donna finalmente vive la sua immensità in piena libertà. Non più sottoposto a regole e dettami accademici o di regime. Un corpo libero da catene che per tanto tempo lo hanno legato, quel corpo desideroso di imporsi, di raccontarsi, di vivere...
Questo straordinario cambiamento non poteva non avvenire nel secolo delle avanguardie, in tutte le discipline artistiche, non solo nell’arte figurativa, ma anche in teatro, nel cinema, nella danza e appunto nella fotografia.
Gianna Panicola durante il Vernissage
In “Corpus in fabula”, mostra personale fotografica di Eugenio Sinatra, inauguratasi domenica 25 marzo, presso 4ARTS Gallery, Sinatra fa riferimento al corpo donna e alla sua singolare capacità di raccontarsi e di creare narrazioni in cui esso sia il protagonista. La nudità, sensuale e velata, giocosa e tenera, drammatica e sofisticata, viene esibita tra pause e silenzi.
Eugenio Sinatra dice, utilizzando le sue parole: “spalmare il corpo nel tempo e nello spazio, in riferimento ai tempi lunghi di esposizione mentre la modella si muove o danza a suon di musica”. Corpo in stasi e corpo in movimento nel tempo e nello spazio, si alternano, come possiamo osservare nelle sue opere fotografiche in esposizione fino all’8 aprile.
Il corpo si relaziona con lo spazio, vivendolo in libertà, in armonia, offrendo al fruitore chiavi di letture alternative, con il movimento e con passi di danza improvvisati. La danza, voglio fare un approfondimento che reputo importante nell’espressività del corpo, sostiene una delle più grandi danzatrici-coreografe del Novecento, precorritrice della danza moderna, Martha Graham, “è l'unico vero linguaggio spontaneo con il quale l'uomo può esprimere la sua essenza e il suo pensiero in una società interamente dominata dalla verbalità”. La fotografia ha il prezioso dono di documentare tale essenza, di renderla eterna.
Le opere fotografiche di Eugenio Sinatra mi hanno catapultata nel passato, il loro effetto vintage, creato dall’uso sapiente di tecniche di stampa oggi definite alternative, quali la cianotipia, nata a metà del XIX secolo e il processo Van Dyck Brown, sperimentato agli inizi del 1900 e così chiamato dal caratteristico colore seppia delle opere del pittore Fiammingo Antoon van Dyck vissuto tra il 1599 e il 1641, utilizzate per la stampa di queste opere su carta da acquerello. Ma è l’intonazione in acido tannico e/o caffè, al quale ricorre Sinatra, che crea questi particolari effetti, antichizzanti. I toni variano dal rosa cenere, al grigio azzurro, al marrone, al bronzo e al nero intenso. La sapiente manipolazione dei negativi rende ogni esemplare unico. Del resto la manipolazione della stampa e l’utilizzo di tecniche alternative, erano nati con la fotografia stessa ed erano patrimonio dei fotografi già nel XIX secolo.
Nel movimento creato, accenni al fotodinamismo dei fratelli Bragaglia, i quali avevano introdotto il movimento nella fotografia che fino ad allora era un’arte che riproduceva fedelmente la realtà, confinante con la pittura. Il fotodinamismo, al contrario, disprezzava la ricostruzione meccanica della realtà.
Sinatra, attraverso il movimento, conduce verso una smaterializzazione del corpo, non più solo carne, ma carne e spirito. La vibrazione ottenuta che moltiplica le varie parti, riporta in superfice la natura profonda.
Nel corpo in stasi le diverse pose, gli intrecci del corpo, gli scorci, permettono di scoprire altre parti del corpo, di trasformarle, di ribaltarle. Ad occhio nudo risulterebbe impossibile. Ecco il potere della fotografia: rendere l’evidenza, sottolineare, scoprire e far sembrare le cose qualcos’altro. Espedienti utilizzati dalla fotografia dadaista.
Ritorno dalla Graham e concludo: “La cosa più importante, qui come sempre, è l’assoluta unicità dell’individuo; se tale unicità non si realizza, qualcosa va perduto … l’ineluttabile necessità di esprimersi è tutto … E’ a questo punto che il flusso della vita raggiunge l’artista e, mentre l’individuo acquista grandezza, quanto vi è di personale si fa sempre meno personale. Il movimento non mente mai. E’ come un barometro capace di rivelare, a chi lo sa leggere, la temperatura dell’anima”.
Gianna Panicola - Curatrice e Critico d’Arte
27 Marzo 2018